Lo scorso 30 marzo, il Senato francese ha votato un disegno di legge che prevede, all’interno dei luoghi pubblici, il divieto di indossare qualunque segno religioso o che indichi una presunta inferiorità della donna rispetto all’uomo. Inoltre è proibito il burkini all’interno delle piscine pubbliche e alle madri con l’hijab di accompagnare i propri figli alle gite scolastiche.
La legge nei suoi principi generali non nomina direttamente il velo, ma è evidente che il fine ultimo è proibirne l’uso.

Non è la prima volta che il Parlamento francese si scaglia contro questo indumento, già nel 2004 era stata votata una legge per vietare agli studenti di indossare abiti religiosi nelle scuole e nel 2010 era stato imposto il divieto del niqab e di qualsiasi altro indumento che copre il viso in pubblico.
Se nel 2010 la scusa era una presunta “lotta al terrorismo”, oggi si sposta più sulla volontà di laicizzare lo stato, la lotta contro la sottomissione della donna e la tutela dei minori.
Ma il sospetto che tutto ciò nasconda un atteggiamento islamofobico sorge e anzi si fa spazio prepotentemente.
In particolare sembra voler attribuire un significato univoco al velo, considerato un simbolo di sottomissione, quando in realtà ognuno può attribuire i significati più diversi a ciò che indossa: appartenenza, libertà, lotta…
Inoltre anche la questione della laicità, che, secondo i creatori della legge, ora dovrebbe essere garantita dalla messa a bando del velo nei luoghi pubblici, appare infondata. Con laicità si intende la completa indipendenza e autonomia dello Stato dalla religione. Una persona con il velo o una croce al collo che entra in un luogo pubblico, quindi, secondo questa logica, dovrebbe minare questa autonomia e attentare all’indipendenza dello stato: la cosa appare assurda.
Considerare il velo come un simbolo di sottomissione è limitante, oltre che discriminatorio e richiamare il principio della laicità è un’argomentazione retorica: il razzismo ha tante facce e a volte anche tanti voti nel senato francese.